La città in 15 minuti, la sfida degli urbanisti
Se ne parla da Parigi al Sud America e finalmente anche in Italia. Significa rivoluzionare le città con pianificazioni urbanistiche che permettono ai cittadini di abitare in centri urbani dove tutto è a disposizione nell’arco di 15 minuti a piedi
Cosa significa la città in 15 minuti
Quello di città in 15 minuti è un concetto nuovo ma non nuovissimo, visto che studiosi ed architetti ne parlano da svariati decenni.
Per troppo tempo però l’idea è stata ignorata sia dai tecnici che, ancor più, dai media e dal grande pubblico.
Quello della città in 15 minuti ed è un concetto rivoluzionario, specialmente adesso, vista l’attenzione assunta dalla crisi climatica ed ambientale.
La rivoluzione sta nel vedere la città non più come una immensa distesa di edifici e persone, ma nel dividere l’abitato in tanti piccoli cerchi.
Si parte dal basso, cioè dall’individuo che abita l’agglomerato.
Il concetto è stato abbozzato da uno studioso che nemmeno si occupava di urbanistica, bensì un matematico di origini greche, Nikos Salingaros.
Salingaros adottò proprio l’approccio bottom-up per disegnare le città.
Tale approccio è stato poi sviluppato da vari studiosi e professionisti di urbanistica.
Ben presto è diventato celebre, a seguito di un articolo dell’architetto colombiano Carlos Moreno del 2021.
Moreno sistematizza una teoria già presente in pianificazione urbanistica e divenuta famosa a seguito degli scritti dell’ americana Jane Jacobs.
Quest’ultima svolse, fin dagli anni sessanta, una decisa critica dello sviluppo delle città moderne.
Jacobs proponeva un ritorno allo sviluppo urbano a misura d’uomo.
E proprio in questo consiste il concetto di città in 15 minuti.
L’idea della città in 15 minuti
L’idea è che una persona che abita in città deve riuscire a raggiungere tutti i punti di interesse in 15 minuti (più o meno) a piedi.
Una visione della città in questo senso porta a ripensare le città.
Si deve partire dall’individuo, analizzandone i bisogni.
Quindi disporre la pianificazione pubblica e gli investimenti privati di conseguenza.
Bisogna dotare ogni quartiere di ciò che serve alle persone che lo abitano.
Devono essere considerati tutti i bisogni dei cittadini.
Dal vivere al lavorare, studiare, compreso il tempo libero e quant’altro possa servire alle esigenze di ciascuno.
La città in 15 minuti diventa il quartiere
In quest’ottica la teoria della città in 15 minuti diventa a dir poco rivoluzionaria.
Mai prima d’ora si era adottato, nella pianificazione così come negli investimenti, soluzioni orientate alle esigenze dell’individuo.
Beh! Mi correggo!
Ci sono stati esempi sia in Italia che all’estero (specie nei paesi del nord Europa).
Si è avuta l’idea di provare a costruire quartieri a misura d’uomo, ma sono esempi eclatanti proprio perchè innovativi e poco diffusi.
Sembrerebbe un controsenso dover cambiare approccio per costruire una città a misura d’uomo, quando è l’uomo che vive la città.
In fin dei conti a misura di che cosa si dovrebbero costruire le città, se non a misura dell’uomo che le abita?
Forse questa è una domanda che ci dovremmo porre tutti!
Specie se pensiamo che nel passato, le città erano effettivamente a misura d’uomo.
Fino all’epoca preindustriale gli abitanti delle città avevano tutto ciò di cui avevano bisogno a pochi passi dal luogo dove abitavano.
Certo v’è da dire che le esigenze moderne, rispetto a quelle degli abitanti del Medioevo, sono ben diverse.
La quotidianità di oggi richiede servizi in quantità ben maggiore e di differente tipologia.
Tuttavia la quarta rivoluzione industriale lo rende possibile.
Il livello tecnologico raggiunto grazie all’utilizzo di internet e di applicazioni informatiche permette ora soluzioni prima impensabili.
Rendono possibile la pianificazione e la realizzazione della città in 15 minuti.
La città in 15 minuti è già nell’agenda di alcuni sindaci
Il sindaco di Parigi già ha inserito nel programma elettorale, l’idea di una pianificazione urbanistica ed una gestione dei servizi in tal senso.
Dopo le elezioni è l’idea di permettere agli abitanti di godere della città senza doversi allontanare eccessivamente da casa è diventata programma di governo.
Lo stesso hanno fatto le città di Singapore e di Bogotà.
In Italia se ne sta parlando a Milano e a Cagliari.
La pandemia ha reso auspicabile la città in 15 minuti
Dopo l’esperienza legata al Covid-19 soluzioni orientate ad una città più a misura d’uomo sono più concrete.
La pandemia ha diffuso in maniera capillare l’utilizzo di nuove tecnologie di comunicazione e relazione.
Ha spinto le città e gli operatori commerciali ad investire massicciamente sull’ammodernamento della rete infrastrutturale.
Ha diffuso concetti e modalità di lavoro intelligente di cui prima si parlava solo negli uffici degli studiosi di diritto e sociologia.
Concetti come smartworking e remoteworking, attività come conference call e cloud computing ora sono la quotidianità di tutti.
Ecco quindi che nasce anche il nuovo concetto di nearworking ovvero l’evoluzione dello smartworking.
La pandemia ed il lockdown ci hanno fatto conoscere l’homeworking, cioè lavorare a distanza chiusi in casa.
Tale situazione che ha fatto nascere non poche difficoltà nei lavoratori, in particolare si parla di sindrome da bornout.
Con nearworking si intende invece il lavoro vicino a casa.
Significa attrezzare le città con uffici pronti all’uso, dove recarsi a svolgere la propria attività.
Un ufficio che si può raggiungere a piedi, in modalità coworking.
Questa è la nuova sfida per i sindaci: sviluppare un nuovo modo di vedere le proprie città.
Recuperare brani dell’agglomerato in disuso o abbandonati e rimetterli in gioco.
Renderli disponibili per per soddisfare esigenze nuove e meno nuove dei cittadini.
Ciò affinché le città siano veramente a misura di chi le deve abitare.
Un aiuto tecnologico per rendere più smart le nostre città viene dalla piattaforma hubway.space, efficace strumento per lo smartworking.