
Fine dello stato di emergenza = fine dello smart working?
Il 31 marzo finirà lo stato di emergenza e con esso cesserà la normativa speciale che ha permesso a milioni di lavoratori di lavorare in smart working, che per molti ha voluto dire lavorare da casa, ma il Governo sta pensando ai provvedimento per permettere la continuazione.
Smart working: al 31 marzo cessa la normativa speciale
Il Governo a guida Mario Draghi ha nuovamente confermato che al 31 marzo 2022 verrà meno lo stato d’emergenza.
Cesseranno quindi tutte le strutture create per gestire la pandemia legata al Covid-19 e che tutti noi abbiamo imparato a conoscere, in questi due lunghi anni di emergenza.
Verrà quindi meno la struttura commissariale, la cabina di regia e il Comitato scientifico.
Verrà meno in particolare l’ormai acquisita abitudine allo smart working, che per molti ha significato lavorare dalla cucina di casa, ore di video conferenza dal proprio salotto, rispondere alle mail anche alle dieci di sera, etc
Certo questi non sono aspetti del tutto positivi ed è dipeso dal fatto che lo smart working è stato inteso come home working, con la conseguente commistione tra spazio di lavoro e spazio (e vita) domestico.
Ma non dev’essere tutto male se molti lavoratori, precisamente 4 su 10, vorrebbero conservare anche nel periodo ordinario la modalità di lavoro smart.
Perchè quindi, come si dice comunemente, buttare il bimbo con l’acqua sporca?
Perchè non tenere le cose positive, imparando a correggere gli aspetti negativi?
Smart working: com’era prima del Covid-19
Forse stupirà qualcuno sapere che già prima del Covid-19 la normativa sul lavoro italiana prevedeva l’utilizzo della modalità di smart working.
Prima della pandemia in effetti è sempre stato uno stile di lavoro poco usato, in particolare perchè, come spesso succede in Italia, l’adozione richiedeva una serie gravosa di adempimenti burocratici, in teoria motivati dalla necessità di evitare abusi da parte dei datori di lavoro e volti tutelare il dipendente.
Ecco quindi che veniva richiesta la redazione di un accordo individuale tra datore di lavoro e lavoratore, comunicazioni agli enti pubblici (INPS, INAIL, etc) e quant’altro.
Tali adempimenti, a dire il vero, si sono però ridotti ad essere meri incombenti di scarso valore aggiunto, per questo anche lo smart working ha finito per essere riconosciuto solo come una pratica che complicava molto le cose, gravando i datori di lavoro.
Prima della pandemia, va detto, vi è sempre stato un pregiudizio dei datori di lavoro che pensavano di veder scemare il proprio potere di controllo sull’andamento del lavoro da parte del dipendente.
Questo era un pregiudizio legato più a vecchi schemi mentali, ad abitudini nella gestione dei rapporti di lavoro subordinato, cui non erano esenti nemmeno le organizzazioni di categoria, in particolare i sindacati.
Bada bene, ho detto “erano” perchè la pandemia e le restrizioni legate al contenimento della diffusione del Covid-19, con la conseguente adozione massiccia dello smart working ha spazzato via ogni pregiudizio e a rivelato che, se si vuole si può fare.
La pandemia ha rivelato il valore aggiunto dello smart working
Le necessità di contenere la diffusione del Covid-19 ha costretto milioni di lavoratori in regime di smart working.
L’evento ha costretto in verità a rimanere tutti a casa e questo non può essere chiamato smart working.
Smart working è qualcosa di diverso e di più.
E’ un regime di gestione del rapporto di lavoro subordinato che richiede un’organizzazione del lavoro basata non tanto sulle ore di lavoro, ma su obbiettivi che vanno prefisati dalle parti e poi dei risultati che vanno monitorati.
Richiede quindi non semplici direttive del datore di lavoro e mera esecuzione del dipendente, bensì una maturità del rapporto in uno scambio bidirezionale.
Il lavoratore deve assumere quindi un ruolo attivo nel determinare le modalità e i tempi di esecuzione dell’attività lavorativa, ovviamente in accordo con il datore di lavoro.
tale evoluzione permette quindi al dipendente di gestire il proprio tempo che è una risorsa di grande valore, come tutti ben sappiamo.
Prorio per questo, molti lavoratori che hanno potuto sperimentare lo smart working hanno dichiarato di preferire tale modalità di lavoro e vorrebbero conservarla anche alla fine dello stato di emergenza.
Anche le organizzazioni di categoria hanno compreso il pregio di tale organizzazione e hanno condiviso con il Governo l’opportunità di conservarla, superando l’eccessiva burocratizzazione dei tempi pre Covi-19.
Tra i tanti aspetti negativi, questo è un lascito positivo della pandemia, sempre che si sappia sfruttare nel giusto modo.
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